Ah, la cornacchia sull’antenna, il graffio
d’una musica stanca, eppure suono, duro,
benché diverso.
Andammo, e il mare, a pezzi, ci guardava,
solo, forse, compianto
per antichi rimorsi e poi, rosso, sventrato
un frusciare di rombo, di giunchiglia
sanguinosa, divisa sull’altare
tra pesce e pesce.
L’estate è un funerale rosso fuoco:
rosso come la gioia, come il foco
e la morte per flamma. Il geco. Il muro
contro il cui cemento
attendi il figlio che dal mare torni
in esanime barca. O forse, dici,
la preistoria l’ha avvolto nei fondali, gli ha sospeso
un tamburo sulle tempie?