E’ gennaio:
le cince e i pettirossi
frequentano la mia osteria.
In una silloge rapida e frammentata, ma densissima, Francesco Bori passa e ripassa da una riva all’altra dell’Averno fissando la sua penna, senza falsi imbarazzi, sul mistero della vita, del dolore, della perdita, della morte, della speranza osservati da un limitare che non ha ancora trovato tregua alla sua ricerca.
Versi che commuovono profondamente i suoi, perché sondano le inquietudini e gli aneliti di ogni essere umano. Di questo il poeta è consapevole, e con un gesto di simbolica solidarietà ha lasciato al fondo di questa raccolta alcune pagine bianche: scrivete voi altre poesie.