Trattenuta l’anima tutta
Quando lenta noi l’espiriamo
In diversi anelli di fumo
Aboliti poi in altri anelli
Attesta un sigaro che brucia
Giudiziosamente per poco
Che la cenere si separi
Dal vivido bacio di fuoco
Così il coro delle romanze
Volando fiorisce alle labbra
Escludine se cominciare
Tu vuoi perché vile il reale
Troppo esatto senso cancella
La tua vaga letteratura.
Padre riconosciuto del Simbolismo, Stéphane Mallarmé ripudia consolatori alibi metafisici: alla tensione impossibile verso l’azzurro (segno di inattingibile trascendenza) il poeta sostituisce la scoperta del Niente, cui provvisoria risposta è l’umano e laico atto di fede nella scrittura, anche quando quest’ultima diventa esplorazione di una sconfitta.
n Mallarmé il fare poetico è percorso sacrale, spiegazione orfica della terra, tensione chimerica verso la realizzazione del Libro supremo e unico. Tale aspirazione, tuttavia, reca in sé il germe dello scacco, dell’impotenza, facendo del disinganno che si origina dalla mancata realizzazione dell’utopia un tema poetico ispiratore e profondo. Umiltà e solitudine di un pensiero che si fa comportamento linguistico di separatezza, fuori dell’idioma della tribù, diventando nel verso mutismo delle cose, dall’insufficienza dei parlari. Dunque, l’opera del poeta francese rappresenta una svolta decisiva nel modo di intendere il mestiere di scrivere, in cui la non rappresentabilità piena del reale non può non coniugarsi con la speculazione estetica e filosofica legata al problema dell’essere.