…e poi non disertare pensieri nel cieco blu tutto patisce e s’intana nei capelli la notte risuona come corde verdi di lago la palpebra si gonfia e devo fare cosa fare del tempo del grano che è inverno
e poi cosa nasce quale speranza quale pietra potrà gridare insieme a me con cuore di foresta e d’infanzia...
Accostarsi a L’anima sonora delle parole significa, per il lettore, compiere un’esperienza intellettuale e spirituale assoluta, simile all’iniziazione, propria del mondo classico, agli antichi sapienziali misteri. Occorre, innanzi tutto, accantonare la razionale – e in questo caso, fuorviante – preoccupazione di capire, di rintracciare un senso compiuto e rassicurante, abbandonandosi invece alla malìa del suono, alla fascinazione di immagini uditive/visive che scaturiscono da un linguaggio per così dire primevo, frutto della mescolanza di sardo nuorese, italiano, neogreco. Nei testi di Maria Grazia Cabras, infatti, si realizza con l’affascinante terribilità del gesto creatore irrevocabile una commistione di voci, «aliti-istanti che vibrano», le quali attraverso l’esplorazione del mito approdano al dominio incontrastato di Eros, signore del tempo e sigillo dell’anima profonda del mondo, secondo le parole, citate dall’autrice, della protagonista del Simposio platonico, Diotima di Mantinea: «Amare, sia per il corpo che per l’anima, significa creare nella bellezza».