(…) ma c’era
qualcosa di meglio nel cuore, come
un talismano di sillabe vuote,
precipitate dentro il velenoso
bianco di fogli intatti quando scuote
le membra Amore misericordioso
d’incompiutezze, impronunciato nome.
L’emistichio petrarchesco che dà il titolo alla raccolta, alludendo alla fragilità della bellezza – di ciò che amiamo e, insieme, di ciò che fonda la nostra periclitante civiltà, perennemente insidiata dalle rovine e dal furore della storia –, costituisce la cifra interpretativa di un canzoniere-romanzo che Roberto Rossi Precerutti dedica, pur nel segno dello strenuo magistero formale e metrico che gli è consueto, all’indagine vorremmo dire dolente e innamorata del proprio paesaggio interiore, dell’incandescente magma dell’autobiografia, fra apparizioni di luce e vertigine del nulla, fioriture mute e ombre amare, per approdare, attraverso le prose poetiche della seconda sezione del libro, a un vero canto dell’inappartenenza, ispirato alla sapienza della Bhagavadgītā.