Come nuda pianta mi scopro
nella sterile orma di luce
dell’estate in fuga.
Non so fermare il volo
di ali che inseguono il sole
e ricercano l’onda veloce
nell’immobile soffio di rami.
Un nodo mi avvolge
e la fuga è impedita
se non libero dura radice
Ne Le temps retrouvé, Marcel Proust afferma che ciascun lettore, quando legge, è il lettore di sé stesso. Ora, Per porte segrete, seconda e convincente prova di Mara Muti, consente a chi si accosti alle sue pagine di ritrovarsi, di ritrovare cioè qualcosa che appartiene profondamente all’esperienza di ognuno. Si tratta, in altre parole, di un viaggio alla ricerca della luce, al cui termine si cela la beatificante e, insieme, terribile esperienza del divino. Ma, proprio come negli scritti del grande mistico medievale Meister Eckhart, tale esperienza è collocata nei territori dell’indicibile, quasi che la divinità sia pensabile, di là da ogni determinazione, soltanto come distacco. Il «frangere della luce» si perde così «nel limpido strappo del nulla». Eppure, questo silenzio dell’anima, reborianamente risonante di un polline di suono, si colma di «nuova salvezza sfiorata», di «pace di attesa», riscattando quasi in benedizione di grazia il destino di finitudine e fragilità dell’essere umano.